Winning isn’t Comfortable è la nuova campagna di Nike che focalizza l’attenzione sulla realtà che i runner sperimentano ogni volta che escono a correre (campagna che fa seguito a quella presentata in occasione delle Olimpiadi di Parigi, Winning isn’t for Everyone, che celebrava, invece, la determinazione degli atleti più vincenti al mondo).
La corsa è piacere, è libertà, è un momento per sé stessi, ma è anche sacrificio, fatica, sudore, è costringersi ad uscire anche quando non si ha voglia, è spingersi oltre le forze. Per amare la corsa, in fin dei conti, è necessario anche un po’ “odiarla”.
Questo è il messaggio che lo scorso weekend è stato lanciato da Nike tra le strade del centro della movida milanese, quando un nutrito gruppo di oltre 400 runner ha corso tra i locali tra Darsena e Duomo durante l’orario dell’aperitivo, per sensibilizzare chi è più lontano dallo sport verso il piacere della fatica e del sacrificio.
Una lunga corsa di riscaldamento sotto la pioggia che ha portato i partecipanti ad una prova ben più dura, scalando i quindici piani del grattacielo della Terrazza Martini in una vera e propria gara dove, al traguardo, ad attenderli, c’erano tre atleti olimpici Nike, reduci dalle fatiche di Parigi: Filippo Tortu, Eloisa Coiro e Elena Bellò.
Filippo è stato il primo italiano a correre i 100 metri in 9″99, oggi duecentista e ultimo frazionista della 4×100 azzurra. Eloisa e Elena sono, invece, due specialiste degli 800 metri, entrambe parte della staffetta 4×400 femminile, ma la prima specializzata anche dei 400, la seconda dei 1500 metri.
Noi di The Running Club abbiamo avuto l’opportunità di incontrarli per un’intervista one-to-one e questo è quello che ci hanno raccontato.
Filippo Tortu: “Quando vuoi bene a qualcuno, sei portato a dare qualcosa in più, a sacrificarti anche per i tuoi compagni”
Filippo sei stato il primo italiano a correre i 100 metri sotto i 10 secondi. Cosa hai provato in quel momento?
“In realtà, non mi è mai interessato essere il primo o battere il record di qualcun altro. Quello che ho sempre provato a fare è stato raggiungere i miei obiettivi. Quello è stato il primo, forse il più grande della mia carriera, una grande soddisfazione che si è aggiunta poi a tante altre”.
Magari uno stimolo per fare ancora meglio…
“Quello sicuramente, anche se poi mi sono spostato sui 200 metri. Ed è quello che proverò a fare ora su questa distanza: l’obiettivo numero uno è scendere sotto i 20 secondi. Ma negli anni ho imparato anche che la cosa più importante sono le medaglie…”.
La corsa è uno sport individuale, eppure una delle sue più belle rappresentazioni è la staffetta, della quale tu sei (stato) uno dei principali artefici dei successi italiani.
“La staffetta è diventata la gara simbolo della velocità. A dire il vero anche per noi è stata una sorpresa. Probabilmente noi per primi la snobbavamo fino a qualche tempo fa, concentrandoci solo su noi stessi. Invece, l’abbiamo riscoperta, non solo come gara, ma anche come modo diverso di vivere l’atletica, in condivisione, dentro e fuori dalla pista. E il fatto che anche il pubblico si sia appassionato così tanto l’ha resa ancora più emozionante ed avvincente”.
Che rapporto hai con i tuoi compagni di maglia azzurra?
“Va tutto alla grande. Fin troppo bene… non li sopporto più – ride -. Abbiamo passato insieme anche le vacanze, non vedo l’ora di andare ai raduni, viviamo in simbiosi. Come è normale che sia, sono più legato a qualcuno, ma mi trovo bene con tutti e li considero come dei fratelli. Mi hanno regalato delle emozioni che non mi sarei mai aspettato. Ma soprattutto si sono creati dei legami che dureranno per tutta la vita, allenatori compresi”.
Forse è proprio questo il segreto del vostro successo…
“Sicuramente. Rispetto ad altre nazioni che sono forse più competitive sulla carta, abbiamo due componenti fondamentali che gli altri non hanno: lavoriamo molto insieme e siamo affiatati. Due aspetti che in pista poi fanno la differenza. Quando vuoi bene a qualcuno, sei portato a dare qualcosa in più, a sacrificarti anche per i tuoi compagni”.
Quanto incidono oggi le nuove tecnologie delle scarpe da corsa sui risultati?
“Nonostante si possa pensare che quello che conta sia solo l’allenamento, nella realtà dei fatti, le gomme che metti sotto i piedi fanno la differenza. Io ho bisogno di un certo tipo di scarpa per riuscire ad esprimermi al massimo, scarpe che abbiano la giusta rigidità e reattività. Per gli allenamenti di tutti i giorni uso spesso le Nike Pegasus, che danno il giusto compromesso tra morbidezza e reattività, e le Streakfly, che anche se sono progettate per altre distanze sono leggere e fanno lavorare molto bene il piede. Come chiodate, invece, le Maxfly 2, rigide come piacciono a me e stabili soprattutto in curva”.
Elena Bellò: “Le Olimpiadi sono state la realizzazione di un sogno”
A partire dalle Olimpiadi di Tokyo l’atletica italiana ha vissuto un periodo florido di successi internazionali in diverse discipline. Secondo te a cosa è dovuto?
“Dopo Tokyo c’è stata una crescita straordinaria per prestazioni e risultati a livello globale. E l’Italia non è stata da meno. Le medaglie del 2021 hanno sicuramente dato fiducia e motivazioni a tutto l’ambiente. Per quanto mi riguarda il grande passo è stato quello di guardare oltre confine. Oggi non mi alleno più per essere la migliore in Italia, ma per poter essere in grado di gareggiare con le atlete più forti del mondo”.
In una parola, cosa sono le Olimpiadi per te?
“Il sogno. Il sogno che hai da bambino. Un sogno impossibile. Ma che con il passare degli anni è diventato piano piano obiettivo. E raggiungerlo è stato il primo grande successo. Un sogno che ne ha fatti iniziare tanti altri, ancora più grandi”.
Cosa pensi dell’evoluzione tecnologica che ha avuto il mondo delle scarpe anche relativa alla tua disciplina (800 e 1500 metri, ndr)?
“Sia nelle scarpe per la corsa su strada che nelle chiodate per la pista l’evoluzione degli ultimi anni è stata tantissima. Forse l’inserimento delle piastre in carbonio ha inciso più nelle competizioni su strada e i risultati si sono visti. Io ho iniziato a usare scarpe con piastra nel 2021 e la differenza l’ho sentita subito. La differenza con le tecnologie precedenti è stata subito evidente. All’inizio cercavo di dosarmi molto nel loro utilizzo perché sentivo che facevano lavorare molto l’arco plantare. Ora mi sono abituata e la differenza si sente”.
Quali sono i modelli di scarpe non chiodate che prediligi di Nike per i tuoi allenamenti?
“Pegasus e Pegasus Turbo (o Plus, ndr) sono i due modelli con i quali mi trovo meglio per le corse tranquille. Per medi e ripetute le Vaporfly. In gara, invece, le mie inseparabili compagne sono le Victory”.
Eloisa Coiro: “Il pubblico ti segue perché diventi ispirazione”
Sei una delle giovani atlete che ha cambiato la percezione dell’atletica in Italia. Secondo te, cosa è cambiato, sia nel pubblico che negli stessi atleti, dopo le Olimpiadi?
“Sono due cose che, secondo me, vanno di pari passo. Io, Filippo [Tortu] e Elena [Bellò] arriviamo tutti da quella che io chiamo generazione Baldini. Eravamo tutti a Grosseto nel 2017 agli Europei Under 20 e ci fu una super edizione per noi italiani. E da lì è stata una continua escalation che ci ha portato fino a Tokyo e Parigi. Il pubblico è una conseguenza dei risultati. Ti segue perché diventi ispirazione”.
In una parola, cosa sono le Olimpiadi per te?
“Il sogno. È stato emozionantissimo correre, ma allo stesso tempo mi sono sentita nel posto giusto. E questo me le ha fatto godere al massimo. Un Mondiale, purtroppo, non ci si avvicina minimamente…”.
Hai fatto anche parte della staffetta 4×400. Cosa la rende così speciale, anche per il pubblico?
“La staffetta ti dà una carica diversa. L’idea di passarsi il testimone ti fa sentire parte di qualcosa di più grande. Non stai correndo più solo per te, ma tutto quello che fa lo fai anche per gli altri”.
C’è qualcosa che cambieresti in quella che è stata fino ad oggi la tua carriera di atleta?
“No, penso che la carriera di un atleta sia un percorso. Con il senno di poi, chiaramente tutti sarebbero più bravi a scegliere. Quello che mi direi è di godermi ogni attimo di questo viaggio, perché dura pochi anni ed è importante costruire le proprie memorie che restano per tutta al vita”.
C’è stato un grande cambiamento nel mondo della scarpe da corsa negli ultimi anni. Tu cosa hai percepito maggiormente?
“I risultati sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto nella corsa su strada. In pista, le regole hanno permesso solo cambiamenti marginali, ma tutto quello che di nuovo è arrivato l’ho apprezzato tantissimo. È importante continuare a investire in ricerca e tecnologie per riuscire ad avere prodotti sempre più leggeri e performanti. Ad esempio, con le Nike Victory con le quali corro ho sentito tantissimo il cambiamento nell’evoluzione del nuovo modello”.
Nike Victory per gareggiare… e in allenamento?
“Le Dragonfly, la scarpa più bella del mondo. Fasciano il piede come fosse un calzino. Praticamente è come correre a piedi nudi. E poi, chiaramente, le Pegasus…”.