C’è chi corre per allenarsi, chi corre per dimagrire, chi corre per stare in compagnia, chi corre solo per piacere. Ma c’è anche chi lo fa per ispirare gli altri, per prendersi una rivincita e per portare un messaggio. È il caso di Marco Matteazzi, 24 anni, di Altavilla Vicentina, che da quando ha iniziato a correre, non si è più fermato. Un po’ come Forrest Gump.
“Quando ero alle superiori ho vissuto momenti che non auguro a nessuno – ha confessato Marco Matteazzi -. Un professore mi chiamava polpetta per il mio aspetto fisico. Per lui era solo un innocente scherzo, ma quell’etichetta, pronunciata da un adulto, è diventata una condanna sociale. Ho sofferto per anni di ansia e solitudine. Ero sempre emarginato dai gruppi, senza amici, senza un posto dove sentirmi accettato”.
Poi la riscossa. “La mia vita sembrava un ciclo infinito di dolore e isolamento, fino a quando, a diciannove anni, ho deciso che tutto doveva cambiare. Ho iniziato un percorso di crescita che mi ha portato a riscoprire me stesso, un passo alla volta. Poi è arrivata la corsa, che mi ha insegnato che i limiti sono solo nella nostra testa”.

100 maratone contro il bullismo, la sfida
Dopo aver corso la sua prima mezza maratona, quasi per caso un anno fa, Marco ha deciso di non fermarsi più e ha continuato per altri 99 giorni, correndo dalla sua città natale fino a Lisbona, in Portogallo, più di 2300 chilometri totali.
“La mia missione è combattere il bullismo e ispirare gli altri. Ho trasformato il mio dolore in forza e ho scelto di condividere la mia storia sui social per dimostrare che si può cambiare. Non sei ciò che ti hanno fatto credere. Sei molto di più”. E di più ha fatto anche lui.
Lo scorso 14 febbraio ha iniziato una nuova sfida, quella di correre 100 maratone in 100 giorni, toccando 99 città italiane fino a Firenze, dove ha concluso il suo cammino verso Faenza partecipando alla 100 Chilometri del Passatore (qui il video del suo arrivo), 4416 km totali.
“Ho corso per quel ragazzino preso in giro perché aveva il petto troppo grosso. Perché era timido. Perché era polpetta. Ho corso per quel ragazzino che si sentiva invisibile, escluso. Rotto. E oggi, dopo 100 giorni, anni di crescita e disciplina, posso dire una cosa: quel ragazzino è diventato un uomo. E non ha più paura”, si legge sui suoi canali social.

Un percorso difficile e tortuoso, non privo di ostacoli. “Sono partito con una microfrattura da stress al tibiale. Ho vissuto settimane di inferno – confessa Marco -. Infiammazioni, ritenzione, periostite. Un dolore costante. Ma mai un antidolorifico, mai una scusa. Solo ascolto, respiro, fiducia. Un passo alla volta”.
E ripensa a ciò che è stato e dove è arrivato. “Non ho mai avuto talenti particolari. A scuola, bocciato due volte. Negato nello sport. Preso nelle relazioni. Per anni ho pensato di essere sfortunato. Poi ho fatto la scelta più difficile: mi sono preso la responsabilità della mia vita. E da lì è iniziata la rinascita. Ho sbagliato, ho fallito e continuerò a farlo. Ma oggi so che ogni caduta è un seme. Che ogni corsa è un grido. Che ogni passo è un riscatto. 100 maratone in 100 giorni non sono il risultato di un superpotere, sono il risultato di una promessa fatta a me stesso: non mollare. Mai più”.
“È stata dura, ma ce l’abbiamo fatta – conclude -. Un capitolo si chiude. Ora pronti a scrivere il prossimo”.