“Ce l’hai fatta! 3 ore e 27 minuti. Brava!”. Paolo, compagno di allenamenti e di maratona, sorride mentre ripensa a quei 42 chilometri che hanno scritto un nuovo capitolo della vita sportiva di Francesca. Francesca Cappai, la protagonista del progetto Lady 3:30 ideato da The Running Club, per guidarla e accompagnarla a correre la prima maratona sotto le tre ore e mezza.
Non è stato facile. “La preparazione di una maratona non è mai semplice – racconta Paolo -. Ti ho vista cambiata in questi mesi. L’ultima volta che ci siamo visti in video era dopo il lunghissimo da 38 km: eri stanca, ma felice perché era andato bene. Avevamo delle ragionevoli certezze che il risultato di 3 ore e 30 minuti lo avresti ottenuto. E così è stato”.
Firenze Marathon: emozioni e freddo pungente
Cielo limpido, sole splendente, ma aria gelida. Firenze ha accolto i maratoneti con un clima che ha un po’ sorpreso: una luce quasi primaverile e una temperatura che ricorda l’inverno. “Io soffro tantissimo il freddo – confessa Francesca -. Mi sono coperta bene, ma guardare gli altri in canottiera mi sembrava assurdo. Ho avuto freddo per tutta la gara”. Nonostante il sole, il percorso si è snodato tra strade in ombra e la temperatura non ha mai concesso una tregua. Ogni chilometro è diventato una sfida non solo contro il cronometro, ma anche contro il vento pungente che ha accompagnato i runner dall’inizio alla fine.
Il momento della partenza è stato carico di emozioni. Le griglie che si riempiono, i cuori che battono all’unisono e l’adrenalina alle stelle. Francesca lo racconta con sincerità: “Ero agitata, la parte emotiva ha influito. Avevo un po’ di pressione, anche perché eravamo al centro dell’attenzione. È stato bello salutare chi ci ha riconosciuto, amici e runner che ci hanno seguito nel progetto. Francesco (un runner incontrato sul percorso, nda) ha corso con noi per metà gara e tanti altri ci hanno incoraggiato già al Marathon Village”. Un’atmosfera da grandi occasioni: sorrisi, abbracci, foto e quella sensazione unica che solo una maratona è in grado di regalare.
Un percorso affascinante ma insidioso
La Firenze Marathon è considerata una delle gare più suggestive d’Italia, un vero viaggio tra arte e sport. “La prima parte è bellissima – racconta Francesca con un sorriso che tradisce la fatica ormai alle spalle -. Si esce dalle Cascine, poi si passa sopra l’Arno e si sfiora Ponte Vecchio. Peccato che non sia stata in grado di vedere niente della città in quelle 3 ore e 27 minuti”, scherza, consapevole che in gara ogni dettaglio della città diventa sfocato dietro alla concentrazione.
Ma dietro la bellezza si nascondono difficoltà che solo chi corre conosce davvero. “Un percorso muscolare, non tanto per le salite, che sono poche, ma per i continui cambi di direzione e il fondo irregolare. E’ necessario rimanere sempre attenti agli appoggi».” Firenze, con le sue stradine storiche e il pavé, non perdona distrazioni: ogni passo richiede precisione, ogni curva spezza il ritmo.
E poi c’è il famigerato cavalcavia al 34° chilometro, una sorta di spartiacque tra chi resiste e chi cede. “La salita l’hai retta bene – conferma Paolo, orgoglioso della sua compagna di viaggio. “Secondo me è stata più dura la discesa, molto in pendenza. Lì i quadricipiti hanno iniziato a farsi sentire – annuisce Francesca -. In quel momento ho capito che la maratona non è solo testa e cuore, ma anche muscoli che urlano”.

Il ritmo e la strategia
Francesca ha gestito la sua prima maratona con intelligenza tattica e grande lucidità. “Alla mezza eravamo a 1h43’03” – ricorda Paolo, analizzando i dati con precisione -. La proiezione era di 3 ore e 26 e qualche secondo. Purtroppo poi abbiamo fatto un positive-split di circa 80 secondi, che per un debutto va comunque bene”. Un risultato che racconta anche la capacità di mantenere il controllo quando la fatica ha iniziato davvero a farsi sentire.
Ma non è stato tutto semplice. “Essendo la prima maratona, siamo partiti dall’ultima griglia e questo ci ha penalizzato un po’ – spiega Francesca -. Davanti avevamo una marea di gente, abbiamo dovuto zigzagare per chilometri. Nei primi tratti, il ritmo è condizionato dal traffico dei runner e ogni sorpasso ha richiesto energia extra. Poi, più Anche più avanti, nel gruppone delle 3:30, non c’era spazio per superare”, aggiunge, sottolineando come la gestione mentale sia stata fondamentale per non perdere la concentrazione.
Il muro e la crisi finale
“Dal 36° chilometro, poi, sono entrata in crisi – ammette Francesca senza esitazioni -. Ho visto tutti i santi!”. È il momento in cui la maratona smette di essere una sfida contro il tempo e diventa una lotta contro se stessi. Paolo lo conferma: “Lì ti ho dato il gel, abbiamo cercato acqua. Sentivi male ai quadricipiti, una cosa che non ti era mai successa”.
Poi arriva il 39° chilometro, quello che separa chi sogna dal traguardo. “I crampi! – racconta Francesca -. Ho corso sui talloni fino alla fine. Ogni passo era un crampo, ma ormai ero lì e dovevo finire”. È il tratto più lungo, quello in cui il tempo sembra fermarsi e ogni metro diventa un ostacolo.
La forza di non mollare
Nonostante tutto, Francesca non ha ceduto. “Hai calato pochissimo, circa 10 secondi al chilometro – sottolinea Paolo -. Un po’ per la fatica, un po’ per il percorso nel centro storico, con pavimentazione difficile e continui cambi di direzione. Ma hai tenuto duro”. Firenze, con le sue stradine e il porfido, non regala nulla: ogni curva spezza il ritmo, ogni appoggio richiede attenzione. Francesca ha resistito, trasformando la sofferenza in energia per tagliare il traguardo.
Quando il cronometro si è fermato a 3h27’27”, l’emozione è stata incontenibile. Francesca sorride, gli occhi lucidi e il cuore che batte ancora forte: “Mi sono scoperta atleta. E finalmente non solo perché qualcuno me lo dice, ma perché l’ho dimostrato“. È la frase che racchiude mesi di allenamenti, sacrifici e anche dubbi. La maratona non è solo una prova fisica, ma un viaggio mentale che mette alla prova ogni certezza. “L’impegno paga, ma serve anche una gran forza mentale. Quando sei stanco ti chiedi se ne vale la pena, poi arrivi e capisci che sì, ne vale eccome“. Sono parole che raccontano la vera essenza della corsa: la fatica che diventa soddisfazione, il dolore che si trasforma in orgoglio. Il pubblico applaude, le campane di Firenze suonano in lontananza e in quel momento tutto ha un senso. “Ogni maratona è diversa – aggiunge Paolo – ma la prima è speciale. È un foglio bianco che riempi di emozioni”.

Il recupero e i prossimi obiettivi
Dopo la gara, è tempo di recupero. “Adesso mi riposo – dice Francesca con un sorriso che tradisce la voglia di non fermarsi del tutto -. Anche se sono già uscita due volte. Lunedì gambe di legno, martedì stavo già meglio. Ora tornerò ad alternare corsa e passeggiate”. Il corpo chiede tempo, ma la mente corre già verso nuovi obiettivi. “Con l’anno nuovo deciderò il prossimo traguardo. Penso a una mezza veloce, per capire quanto valgo davvero”.
“La parte più bella è sempre il viaggio – riflette Paolo -. La preparazione, gli allenamenti, le emozioni. La gara può andare bene o male, ma quello che resta è il percorso”. Francesca annuisce, consapevole che dietro quei 42 chilometri c’è molto più di una medaglia: “Sono felice di aver condiviso tutto questo. Grazie a chi ci ha seguito, a chi ci ha incoraggiato. È stato un bel viaggio“.
Per i più curiosi, Francesca ha corso con le Brooks Elite 5. “Le avevo già usate in qualche allenamento e nel lunghissimo – confessa -. Sul porfido di Firenze sono state perfette: stabili, reattive, senza essere troppo morbide. Hanno davvero fatto la differenza”. Un piccolo dettaglio, ma che soprattutto in maratona può influire, positivamente o negativamente, sul risultato.

