Il Giro di Castelbuono è una corsa che ti entra nel cuore. Non è solo una gara: è un rito, una sfida, un pezzo di storia che si rinnova. Una delle gare più affascinanti e dure che abbia mai corso. E ogni anno, quando arriva il momento di correrla, sento un misto di emozione, rispetto e adrenalina.
Il Giro Podistico Internazionale di Castelbuono (scopri qui tutti i dettagli) è una delle competizioni su strada più antiche d’Europa. La sua prima edizione risale al 1912, e da allora ha visto passare campioni di ogni epoca. Si corre nel cuore del borgo medievale di Castelbuono, in provincia di Palermo, tra vicoli stretti, salite spaccagambe e discese tecniche. Il tracciato è composto da dieci giri da 1134 metri ciascuno, per un totale di poco più di 11 chilometri. Ma non lasciatevi ingannare dalla distanza: è una gara che ti svuota, ti mette alla prova in ogni metro.
Il percorso è un continuo saliscendi. Si parte da Piazza Margherita, si affronta un tratto in falso piano che già inizia a farsi sentire, poi arriva la salita di Mario Levante, un muro che sembra non finire mai: 20-30 metri di dislivello in appena 300-400 metri. Le gambe bruciano, il fiato si accorcia, ma il pubblico ti spinge, ti urla addosso, ti accompagna come se fossi in una tappa del Tour de France. E poi la discesa, tecnica, da affrontare con attenzione, prima di tornare in piazza e ricominciare tutto da capo.
Giro di Castelbuono, un legame che dura da anni
La mia storia con questa gara inizia nel 2019. Da allora, ho saltato solo l’edizione del 2020, annullata a causa della pandemia. Ogni anno torno qui con lo stesso spirito: rispetto per il percorso, amore per la corsa e voglia di dare tutto.
Il mio miglior risultato è stato un decimo posto, un traguardo che porto nel cuore. Quest’anno sapevo che sarebbe stato difficile ripetersi, ma non per questo ho rinunciato a provarci.
La preparazione: chilometri, fartlek e un test decisivo
Per arrivare pronto a Castelbuono ho impostato un allenamento mirato, ma non troppo specifico. Ho macinato tanti chilometri tra giugno e luglio, puntando più sulla quantità che sulla qualità.
Ho inserito molti fartlek, allenamenti a ritmo variabile che simulano bene le variazioni del percorso. Solo un lavoro lungo di ripetute, volutamente impegnativo: 10 volte 1200 metri a 3’ al chilometro, per un totale di 12 chilometri. Un test per capire quanto riuscivo a tenere, quanto margine avevo. Perché il Giro, alla fine, è tutto lì: resistere, rilanciare, non mollare.
La gara: nove giri di fuoco, uno di emozione
L’obiettivo era ambizioso: chiudere in 39 minuti. Alla fine, sono arrivato 17º, doppiato da Yeman Crippa proprio sul traguardo. Ma nonostante tutto, credo sia stata una delle mie migliori edizioni.
Fino al nono giro ho corso spingendo al massimo, cercando di restare agganciato al gruppetto davanti a me. Poi, nel decimo, ho capito che Yeman Crippa stava arrivando. Mi avrebbe doppiato, e così è stato. Ma non ho mollato: ho rallentato, sì, ma solo per godermi l’ultimo giro, per assaporare ogni metro, ogni applauso, ogni sguardo del pubblico.
Correre a Castelbuono è un’esperienza unica anche per il calore della gente. Le strade sono piene, gremite, ogni angolo è un’esplosione di entusiasmo. Sembra di essere a Pamplona durante la corsa dei tori, ma qui i protagonisti siamo noi, i corridori. Ogni incitamento, ogni urlo, ogni applauso ti dà energia. Ti senti parte di qualcosa di più grande, di una tradizione che va oltre lo sport.
Quest’anno, poi, il Giro ha avuto un sapore ancora più speciale. Oltre alla gara internazionale, ci sono state le competizioni giovanili e la Vintage Race, una corsa aperta a tutti. Per la prima volta, anche le donne hanno partecipato, rendendo l’evento ancora più inclusivo e rappresentativo. È stato bello vedere volti nuovi, sorrisi, famiglie intere coinvolte. Un segnale forte, in vista della 100ª edizione che si terrà l’anno prossimo e che promette di essere memorabile.
Brooks Hyperion Elite 5: le scarpe giuste per un tracciato difficile
Per affrontare un percorso così tecnico servono le scarpe giuste. Quest’anno ho scelto le Brooks Hyperion Elite 5. Il modello precedente non mi aveva convinto, ma questa nuova versione mi ha sorpreso positivamente.
È una scarpa morbida, reattiva, ma soprattutto stabile. E la stabilità, su un tracciato come quello di Castelbuono, è fondamentale. Curve strette, sanpietrini, rilanci continui: ogni dettaglio conta, e avere ai piedi un attrezzo che ti dà sicurezza fa la differenza.
Un bilancio positivo, con lo sguardo al futuro
Anche se il decimo giro è mancato, sono soddisfatto. Ho dato tutto quello che avevo, ho rispettato la gara e il pubblico. E alla fine, mi sono goduto lo spettacolo. Perché il Giro di Castelbuono è anche questo: una festa, un momento di condivisione, un’occasione per sentirsi parte di una comunità che ama la corsa e la celebra con passione.
Ora si guarda avanti. La 100ª edizione è dietro l’angolo, e già non vedo l’ora di esserci. Di tornare a sentire il boato della piazza, di affrontare ancora una volta quella salita che sembra non finire mai, di correre tra la gente che ti chiama per nome. Perché il Giro di Castelbuono non è solo una gara: è un’emozione che si rinnova ogni anno. Ci vediamo nel 2026, per scrivere insieme un altro capitolo di questa meravigliosa storia.