È una tipica mattina fresca di inizio ottobre a Londra. Antonio Giuliano è in cammino verso Hyde Park, punto di partenza della sua prima mezza maratona: la Royal Parks Half Marathon. Il progetto Project 2, iniziato mesi prima con l’obiettivo di correre 21 chilometri sotto le due ore, è arrivato al suo momento decisivo. L’atmosfera è densa di emozioni. “Mamma mia”, riesce a dire Antonio, visibilmente teso. La tensione si percepisce chiaramente, ma è accompagnata da una forte determinazione. In fondo, non si tratta solo di una gara: è il culmine di un percorso fatto di allenamenti, dubbi, entusiasmo e crescita personale.
La bella notizia arriva proprio al traguardo. Antonio ha completato la mezza maratona in 1 ora e 58 minuti, mantenendo una media di 5’36” al chilometro. Un risultato che non solo rispetta l’obiettivo prefissato, ma lo supera. Andrea Soffientini, il coach che ha seguito Antonio in ogni fase del progetto, non nasconde la soddisfazione: “Era ben allenato, e il merito è tutto suo”.
Un progetto nato per gioco, diventato sfida personale
Project 2 è stato molto più di un semplice piano di allenamento. È stato un esperimento, una sfida, un viaggio. Nato quasi per caso, con l’idea di raccontare il percorso di un principiante non abituato alla corsa verso la sua prima mezza maratona, si è trasformato in qualcosa di più profondo. Antonio, giocatore di football americano, ha dovuto adattare corpo e mente a una disciplina completamente diversa. “Mi piace superare i miei limiti”, aveva detto. E questa gara rappresentava proprio quel limite da superare.
Durante i mesi di preparazione, Antonio ha affrontato prove impegnative: ripetute, caldo estivo, lunghi domenicali. Ha imparato a gestire la fatica, a riconoscere i segnali del corpo, a trovare motivazione anche nei momenti più difficili. “Sto imparando a correre, ma la corsa deve restare un divertimento”, raccontava ad agosto, sottolineando l’importanza del supporto mentale e della presenza costante di coach Andrea.
La vigilia, la gara, il momento più difficile: ansia, nervosismo e paura di fallire
La sera prima della gara, Antonio ha iniziato a sentire la pressione, come ci ha raccontato. Non era tanto la paura della fatica, quanto quella di deludere se stesso. “Avevo visto il percorso, sapevo che era bello, ma avevo paura di non farcela”. Il nervosismo cresce, al punto da influenzare anche i rapporti con chi lo accompagna. “Forse ho trattato male qualcuno, ma era solo tensione”, ammette con sincerità. È il segno di quanto questa gara fosse importante per lui.
Durante la gara, Antonio ha scoperto un mondo nuovo. Le strade di Londra si sono riempite di persone, di voci, di energia. “Era un casino incredibile”, racconta. Il pubblico lo ha incitato, lo ha chiamato per nome, lo ha sostenuto. “Mi hanno urlato il nome, mi hanno dato forza”. Un’esperienza travolgente, tanto da dover essere richiamato dai compagni a rallentare. L’entusiasmo è contagioso, ma anche rischioso. Ma è proprio questo il bello della corsa: lasciarsi trasportare, sentire di far parte di qualcosa di più grande.

Dal 18º chilometro, però, tutto cambia. Il rumore si attenua, il tifo si allontana, e Antonio entra in una dimensione personale, intima. “È stata una preghiera”, dice. Solo lui, il suo corpo, il suo respiro. “Devi arrivare, devi arrivare”, si ripete. È il momento più duro, ma anche il più autentico. Qui non contano più il tempo, la tecnica, il pubblico. Conta solo la volontà. E Antonio ce la fa. Arriva al traguardo esausto, ma in piedi. “Non avevo mai provato una cosa del genere”, confessa. Un’emozione difficile da spiegare.
Dietro quel traguardo c’è un lavoro lungo e costante. Antonio si è allenato con serietà, ha seguito i consigli del coach, ha adattato il suo corpo a una nuova disciplina. “Mi sono dedicato anima e corpo”, racconta. E si vede. Il risultato non è solo il tempo finale, ma la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile. “Forse è per questo che ero così nervoso”, riflette. Perché quando ci si mette tutto, la paura di fallire è più grande. Ma anche la soddisfazione di riuscire lo è.
Le scarpe giuste: un dettaglio che fa la differenza
Un elemento inizialmente sottovalutato, ma fondamentale, è stata la scelta delle scarpe. Antonio ha corso con le Brooks Glycerin GTS 22, una classica daily trainer pensata per runner pronatori, come lui. “Passare da ‘ciabatte’ a scarpe da corsa è stata una scelta importante”, racconta. Le nuove Brooks hanno rappresentato una svolta: comfort, protezione e, soprattutto, stabilità. “Non ho avuto più dolori”, conferma. La dimostrazione che anche i dettagli contano.


Il futuro: 5 km, esplosività e nuove sfide
Project 2 si conclude, ma lascia dietro di sé una traccia profonda. Non solo per Antonio, ma per chi ha seguito il suo percorso. È un esempio di come lo sport possa essere strumento di crescita, scoperta e cambiamento. E ora, con la mezza maratona alle spalle, sia lui che Andrea guardano avanti.
Il prossimo obiettivo saranno gare più brevi: le 5K, più adatte alle esigenze del football americano, dove l’esplosività è fondamentale. “Voglio unire l’utile al dilettevole”, spiega Antonio. Le 5 km gli permetteranno di lavorare su velocità, resistenza e potenza, integrando gli allenamenti di corsa con quelli del football. Antonio punta a correre i 5 km in 22’30”, con un ritmo di 4’30” al chilometro. Una nuova sfida ambiziosa, ma realizzabile. Stay tuned…