Fauja Singh, il maratoneta più anziano mai conosciuto e simbolo mondiale di resilienza, è morto all’età (dichiarata) di 114 anni, dopo essere stato investito da un’auto durante una passeggiata nel suo villaggio natale nel Punjab, in India. La notizia ha scosso il mondo dello sport e ha commosso milioni di persone che lo avevano seguito e ammirato per la sua straordinaria longevità atletica. Singh, che non possedeva un certificato di nascita ufficiale, aveva come data di nascita dichiarata il 1 aprile 1911.
La fama per Fauja Singh è arrivata tardi, dopo un trasferimento nel Regno Unito all’inizio degli anni ’90. All’epoca, Singh era un uomo segnato dal dolore: aveva perso la moglie e due figli adulti. Si stabilì a Ilford, a est di Londra, con un altro figlio, e fu lì che trovò nella corsa una nuova ragione di vita. Secondo il suo stesso racconto, da giovane agricoltore era già appassionato di atletica, ma aveva abbandonato tutto dopo le violenze legate alla spartizione tra India e Pakistan nel 1947. Riprese a correre a 80 anni, e da lì iniziò una seconda vita.
Il debutto a 89 anni e i record leggendari
Singh fece il suo debutto nella maratona di Londra nel 2000, a 89 anni. Da quel momento, partecipò a dieci maratone, tra cui quelle di New York, Toronto e Hong Kong. Il suo miglior tempo fu registrato nel 2003, alla maratona di Londra: 6 ore, 2 minuti e 43 secondi, all’età di 92 anni. Nello stesso anno corse anche a New York e stabilì un record mondiale per la categoria over 90 alla Scotiabank Toronto Waterfront Marathon con un tempo di 5h40’30”.
Il 16 ottobre 2011, a 100 anni, completò la maratona di Toronto in 8h25’17”, diventando il primo uomo centenario a riuscirci. Tre giorni prima, in pista a Scarborough, stabilì otto record mondiali per la fascia over 100, dai 100 metri ai 5.000 metri. L’anno successivo, a 101 anni, tornò a Londra e concluse la maratona in 7h49’21”. Fu la sua ultima maratona ufficiale. Nel 2013 si ritirò dalle competizioni dopo aver corso i 10 km della maratona di Hong Kong.
Un’icona globale tra sport, fede e filantropia
Con la sua lunga barba bianca e il turbante sikh arancione, Fauja Singh era una figura inconfondibile e amatissima dal pubblico. È stato celebrato dai media internazionali, onorato dalla Regina d’Inghilterra, protagonista di una biografia promossa dalla Camera dei Lord e testimonial di campagne pubblicitarie mondiali, tra cui una con David Beckham. Ha portato la fiaccola olimpica a Londra 2012 e ha partecipato a numerose iniziative benefiche, spesso in collaborazione con l’associazione londinese “Sikhs in the City”.
Nonostante i dubbi sulla sua età anagrafica – il suo passaporto britannico è l’unico documento ufficiale – le sue prestazioni sono state sempre certificate da cronometristi e ufficiali di gara.
Ma Fauja Singh è stato molto più di un atleta. È stato un simbolo per le comunità di immigrati, un esempio di fede vissuta con coerenza, un modello di invecchiamento attivo e positivo. Ha dimostrato che non è mai troppo tardi per iniziare qualcosa di straordinario, e che la corsa può essere una forma di guarigione, rinascita e ispirazione.
Il suo allenatore e amico Harmander Singh ha annunciato la creazione di una “Fauja Singh Clubhouse” a Ilford, dove Singh si allenava regolarmente. Un luogo che custodirà la sua memoria e continuerà a ispirare generazioni di runner.