Nel cuore dell’Abruzzo, incastonato tra le montagne del Parco Nazionale della Majella, sorge Pacentro, uno dei borghi medievali più suggestivi d’Italia. È qui, tra le strette vie in pietra e le antiche case arroccate, che ogni anno si rinnova un rito tanto spettacolare quanto misterioso: la Corsa degli Zingari. Non si tratta di una semplice gara podistica, ma di un evento che affonda le sue radici nella storia, nella fede e nell’identità di un’intera comunità.
La corsa si svolge ogni prima domenica di settembre, in occasione della festa della Madonna di Loreto, protettrice del paese. È un appuntamento atteso con trepidazione, che segna la fine dell’estate pacentrana e richiama centinaia di visitatori e curiosi da tutta Italia.
Ma ciò che rende unica questa manifestazione è il suo svolgimento: i partecipanti, rigorosamente uomini nati o residenti a Pacentro, corrono a piedi nudi lungo un percorso impervio, scendendo da un costone roccioso chiamato Pietra Spaccata, attraversando il torrente Vella e risalendo fino al centro storico, dove si trova la chiesa dedicata alla Madonna.
Il percorso è breve ma estremamente impegnativo. Dopo il segnale di partenza, i concorrenti si lanciano giù per il pendio, tra sassi, rovi e sterpaglie, senza alcuna protezione ai piedi. Il tratto iniziale è il più pericoloso, con una discesa ripida che mette a dura prova equilibrio e coraggio. Superato il torrente, inizia la salita verso il paese, tra le urla di incitamento della folla e il suono della banda. I corridori, spesso con i piedi sanguinanti, raggiungono infine l’altare della chiesa, dove si accasciano stremati. Qui vengono medicati e accolti come eroi.
Il mistero delle origini e il significato di “zingaro”
Il termine “zingari”, che oggi potrebbe generare fraintendimenti, ha in realtà un significato del tutto locale e arcaico. Nel dialetto pacentrano, “zingaro” indica una persona povera, vestita di stracci, spesso scalza. È un termine che richiama l’umiltà e la semplicità, non l’etnia. E proprio in questa accezione si inserisce la corsa: un atto di devozione e sacrificio, in cui i corridori si spogliano di ogni comodità per offrire il proprio corpo e la propria fatica alla Madonna, in segno di fede e gratitudine.
Le origini della Corsa degli Zingari sono avvolte nel mistero. Alcuni storici fanno risalire la tradizione al XV secolo, quando la corsa sarebbe servita come metodo di selezione per i giovani più forti da arruolare nelle milizie della famiglia Caldora, feudatari del tempo. Altri ipotizzano che si tratti di un voto popolare nato nel XVIII secolo, in sostituzione del pellegrinaggio al Santuario di Loreto nelle Marche. In ogni caso, la corsa è documentata da almeno due secoli, e ha attraversato le epoche mantenendo intatto il suo fascino arcaico.
Il vincitore riceve il Palio, un taglio di stoffa che un tempo serviva per confezionare il “vestito buono” da uomo. Oggi il premio ha un valore puramente simbolico, ma resta un segno di grande prestigio. Il trionfatore viene portato in spalla per le vie del borgo, tra applausi e festeggiamenti, e accolto nella propria casa con vino, dolci e canti popolari. È un momento di orgoglio non solo personale, ma collettivo, che rafforza il senso di appartenenza alla comunità.

Un rito che resiste al tempo
Negli ultimi decenni, la Corsa degli Zingari ha attirato l’attenzione di antropologi, giornalisti e turisti, diventando un simbolo dell’identità abruzzese. Ma per i pacentrani resta, prima di tutto, un atto di fede. Come scrive lo storico Franco Cercone, “oggi i giovani pacentrani non corrono più per avere, ma per essere”. Non si corre per vincere un premio materiale, ma per affermare la propria appartenenza, per onorare la Madonna, per sentirsi parte di una storia che continua a vivere attraverso il sudore e il coraggio.
La corsa è anche un esempio di come le tradizioni popolari possano sopravvivere al tempo, adattandosi senza snaturarsi. Nonostante le inevitabili trasformazioni sociali e culturali, la Corsa degli Zingari ha mantenuto la sua autenticità. Non è diventata uno spettacolo turistico, ma resta un rito collettivo, vissuto con intensità e rispetto. È una festa, sì, ma anche una prova di resistenza fisica e spirituale, che mette in gioco valori profondi come la solidarietà, la memoria e la fede.
Pacentro, con le sue torri medievali e le sue stradine silenziose, si trasforma per un giorno in un palcoscenico di emozioni forti. La corsa, pur nella sua brevità, racchiude un mondo: il passato che ritorna, il presente che si rinnova, il futuro che si costruisce nella continuità. È un evento che parla di sacrificio e di speranza, di dolore e di gioia, di uomini che corrono non per fuggire, ma per ritrovare sé stessi.